In tempi di crisi e rincari, di lacrime e sangue, tutte le famiglie fanno i conti e decidono cosa tagliare; questione di priorità. Si comincia col togliere il superfluo, poi il meno necessario. Si toccano le spese per sé, si cerca di non risparmiare sui figli.
Io, per esempio, rifletto mille volte prima di comprarmi un paio di scarpe, ma non ho mai pensato di togliere a mia figlia il corso di musica, che ama e che la fa crescere.
Così, credo, tutte le famiglie; tranne la famiglia-Italia e la famiglia-Provincia: da troppo tempo a questa parte i tagli maggiori sono quelli sull'educazione dei nostri figli, e quindi sul loro futuro.
Il modo in cui è ridotta la scuola superiore ne è triste esempio. Il delirante machete del risparmio ha prodotto nell'ordine: una riforma pessima, una precarizzazione sempre maggiore degli insegnanti, un aumento del loro carico di lavoro (70 ore).
L'ultima novità ce la regala il ministro Profumo: l'orario di cattedra dovrebbe passare da 18 a 24 ore settimanali. In termini di ore reali, si andrebbe più o meno da 36 a 48 ore, poiché le ore di cattedra sono circa il 50% di quelle di lavoro effettivo.
Ci raccontano che questo allineerà il carico di lavoro dei docenti italiani alla media europea. A parte i dubbi sulla costituzionalità della norma (a quale lavoratore è possibile aumentare di un terzo il carico, a parità di salario?), questa è una bugia, l'ennesima.
Ci raccontano che questo allineerà il carico di lavoro dei docenti italiani alla media europea. A parte i dubbi sulla costituzionalità della norma (a quale lavoratore è possibile aumentare di un terzo il carico, a parità di salario?), questa è una bugia, l'ennesima.
Invito il ministro a leggere il rapporto Ocse Education at a glance 2012; è molto interessante, e soprattutto fornisce dati reali: in Italia i docenti prestano servizio per 39 settimane (anche se gli studenti vengono a scuola 33 settimane), contro le 38 della media Ocse. I professori di scuola superiore lavorano in media in Italia 630 ore all'anno. I colleghi francesi sono a 632. Gli inglesi 703, gli spagnoli 693. Se passasse la proposta, noi docenti italiani dovremmo aggiungere 6 ore la settimana per le 33 settimane di lezione con gli studenti: un aumento complessivo di 198 ore; arriveremmo quindi alla bellezza di 828 ore, ben oltre la media Ocse (658). Ben oltre gli inglesi, ben oltre i tedeschi (713). Altro che «in linea»!
Perché, oltretutto, nessuno parla di adeguare alla media europea anche i nostri risibili stipendi? Cito lo stesso rapporto Ocse: in Italia il salario medio annuale è di 36 mila dollari. In Spagna 49 mila. In Germania 67 mila: quasi il doppio di noi, a fronte di un carico di ore solo leggermente superiore. Per trovare stipendi come i nostri dobbiamo andare in Portogallo, in Grecia, in Slovenia. I nostri vicini austriaci lavorano meno (589 ore) e guadagnano di più (45 mila dollari). Per non parlare di casi eclatanti come quello del Lussemburgo, dove un professore lavora 634 ore, come noi, però guadagna 102 mila dollari l'anno. Il triplo. Ma c'è di più: il precariato strutturale, che ormai interessa una percentuale notevole dei docenti italiani, fa sì che fino al momento del passaggio in ruolo si resti a stipendio base: 10, 15, 20 anni. E (a parità di mansioni e obblighi) certe cifre diventano davvero un miraggio. Mi chiedo con che coraggio si parli di «allineamento alla media europea», quando stiamo per diventare quelli che lavorano molto più di tutti e guadagnano molto meno degli altri.
Non solo risparmiano sui nostri figli, ma raccontano pure frottole. Molti di noi, comunque, non dovranno preoccuparsi di questo enorme aggravio di lavoro, perché smetteranno di lavorare del tutto: conseguenza dell'aumento dell'orario sarà una vertiginosa riduzione dei posti: 35 mila colleghi precari spariranno semplicemente dalle aule. Non occorrerà nemmeno licenziarli; basterà, silenziosamente, non rinnovare i contratti. Forse una parte di loro andrà a mendicare alla porta degli istituti privati, che invece si preparano a ricevere un regalo di 223 milioni: e se risparmiassimo su questo?
Nonostante il nome così rassicurante, la legge di stabilità potrebbe produrre un esercito di disoccupati, rendere invisibile il lavoro di chi rimarrà, peggiorare la qualità della didattica: oggi chiunque di noi trascorre ore intere (ore di lavoro che il rapporto Ocse non conteggia, ma che ci sono e sono molte) a preparare le lezioni, a scegliere il testo più adatto alla singola classe, l'esercizio calibrato meglio per il singolo studente; se siamo davvero destinati a diventare dei juke-box che ripetono Ovidio e Leopardi a getto continuo per quattro soldi, temo che saremo costretti, con dolore e per motivi di sopravvivenza, a risparmiare queste energie. A proporre sempre le stesse lezioni frontali, standardizzate, per tutti gli studenti. Non avremo più tempo né voglia per seguirli, motivarli, cucire le lezioni sulle loro misure. Migliaia di colleghi a casa, lavoro da schiavi, qualità molto peggiore.
Eliana Agata Marchese
Docente di italiano e latino all'istituto «Degasperi» di Borgo Valsugana
Docente di italiano e latino all'istituto «Degasperi» di Borgo Valsugana
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