La stampa ha annunciato che la riforma delle superiori era passata. Non è vero. E in quei regolamenti è assente un progetto culturale per la scuola
di Marina Boscaino
A metà di questa settimana stampa e tv si sono incaricate di annunciare al Paese che la riforma delle scuole superiori era passata. Non è vero. Aveva ragione il ragazzo che qualche giorno fa, in una lettera su questo giornale, denunciava il disinteresse dei media: la dismissione della scuola della Costituzione è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno sembra interessarsene, persino accorgersene. Per quel ragazzo e per gli scettici, refrattari agli annunci del Tg di Minzolini: a metà della settimana la Commissione Cultura del Senato ha approvato (con una serie di raccomandazioni) i regolamenti della “riforma Gelmini” per un voto, quello di un senatore Udc. Analogo parere era stato espresso alla Camera. Secondo procedura, sui regolamenti di licei, istruzione tecnica e professionale, si erano anche espressi il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e la Conferenza Unificata Stato-Regioni: entrambi i pareri sono stati negativi. Si è poi pronunciato il Consiglio di Stato, prima negativamente, in dicembre; poi positivamente, in gennaio, con riserve però giuridicamente così sostanziali (ad esempio sull’intenzione di intervenire in alcuni ambiti con decreti “aventi natura non regolamentare”; o sull’eccesso di delega) da sollevare, in un esecutivo competente e responsabile, dubbi sulla possibilità di iniziare dal prossimo anno scolastico. Tanto più che il mondo della scuola non è stato minimamente consultato. Invece il Governo va avanti: “Quei pareri sono obbligatori e non vincolanti; è già tanto sembrano volerci dire che celebriamo l’iter prescritto. Non pretenderete che addirittura teniamo conto di quanto ci viene segnalato!”.
E così, alla fine, prima o dopo, regolamenti claudicanti, rozzi, iniqui, che ritornano a una scuola di almeno 40 anni fa, che sono nati dall’art. 64 della l.133/08 (“Contenimento della spesa per il pubblico impiego. Disposizioni in materia di organizzazione scolastica”) passeranno in seconda lettura in Consiglio dei Ministri e poi alla Corte dei Conti, per essere infine pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Il tutto, probabilmente, ad iscrizioni scadute. Solo allora – cari media che avete gridato alla “riforma” – saranno legge: questo prevedono le legittime procedure giuridiche della Repubblica Italiana. Solo allora passerà una riforma motivata – insisto – da quella legge, confluita nella Finanziaria 2009: taglio, nel triennio 2009-12, di 7.6 miliardi di euro sulle spese della scuola pubblica, con tanto di eliminazione di 135.000 posti di lavoro. Quella stessa che ha fatto optare (contro ogni evidenza formativa) per il maestro prevalente e messo in discussione il tempo pieno alla primaria.
Rispettare le previsioni di taglio per il prossimo anno scolastico: da qui la fretta disperata per far approvare i regolamenti, che tagliano cattedre, tempo scuola, diritti – e quindi crescita ed emancipazione per il Paese – riducendo la superiore alla caotica rappresentazione della pochezza politica e della spregiudicatezza di coloro che ci governano. Sarebbe un errore affermare che la scuola rappresentata in quei regolamenti non corrisponda ad un progetto culturale: l’assenza è il progetto medesimo. Estinzione di tutte le sperimentazioni, che hanno rappresentato in molti casi esperienze felici di crescita di professionalità e di apprendimenti; eliminazione di saperi fondamentali (Geografia, di cui si parla in questi giorni, non è che uno degli esempi); esproprio dell’autonomia scolastica; demolizione dell’idea di biennio unitario, con competenze garantite e comuni a tutti, per realizzare davvero l’obbligo scolastico; un’ istruzione per i nati bene (licei) e un’altra per i figli di un dio minore; frammentazione dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, con la regionalizzazione: sono alcuni degli ingredienti per sottrarre scientemente alla scuola la sua straordinaria forza di inclusione democratica e di crescita della cittadinanza e il suo mandato costituzionale. Questo il piatto che ci stanno preparando. Ma, per favore, non dite che è già pronto.
E così, alla fine, prima o dopo, regolamenti claudicanti, rozzi, iniqui, che ritornano a una scuola di almeno 40 anni fa, che sono nati dall’art. 64 della l.133/08 (“Contenimento della spesa per il pubblico impiego. Disposizioni in materia di organizzazione scolastica”) passeranno in seconda lettura in Consiglio dei Ministri e poi alla Corte dei Conti, per essere infine pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Il tutto, probabilmente, ad iscrizioni scadute. Solo allora – cari media che avete gridato alla “riforma” – saranno legge: questo prevedono le legittime procedure giuridiche della Repubblica Italiana. Solo allora passerà una riforma motivata – insisto – da quella legge, confluita nella Finanziaria 2009: taglio, nel triennio 2009-12, di 7.6 miliardi di euro sulle spese della scuola pubblica, con tanto di eliminazione di 135.000 posti di lavoro. Quella stessa che ha fatto optare (contro ogni evidenza formativa) per il maestro prevalente e messo in discussione il tempo pieno alla primaria.
Rispettare le previsioni di taglio per il prossimo anno scolastico: da qui la fretta disperata per far approvare i regolamenti, che tagliano cattedre, tempo scuola, diritti – e quindi crescita ed emancipazione per il Paese – riducendo la superiore alla caotica rappresentazione della pochezza politica e della spregiudicatezza di coloro che ci governano. Sarebbe un errore affermare che la scuola rappresentata in quei regolamenti non corrisponda ad un progetto culturale: l’assenza è il progetto medesimo. Estinzione di tutte le sperimentazioni, che hanno rappresentato in molti casi esperienze felici di crescita di professionalità e di apprendimenti; eliminazione di saperi fondamentali (Geografia, di cui si parla in questi giorni, non è che uno degli esempi); esproprio dell’autonomia scolastica; demolizione dell’idea di biennio unitario, con competenze garantite e comuni a tutti, per realizzare davvero l’obbligo scolastico; un’ istruzione per i nati bene (licei) e un’altra per i figli di un dio minore; frammentazione dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, con la regionalizzazione: sono alcuni degli ingredienti per sottrarre scientemente alla scuola la sua straordinaria forza di inclusione democratica e di crescita della cittadinanza e il suo mandato costituzionale. Questo il piatto che ci stanno preparando. Ma, per favore, non dite che è già pronto.
il Fatto Quotidiano - domenica 31 gennaio 2010 - pag. 18
Nessun commento:
Posta un commento