È il 31 maggio di un anno fa, un
sabato sera.
Molto probabilmente a quest’ora
(sono da poco passate le dieci) stai preparando lo zaino per la tua ultima
escursione in montagna. Le solite cose da infilarci dentro, che ormai trovi
senza bisogno di doverle cercare: la maglietta di ricambio, il pile, la
borraccia, la ventina in caso di pioggia, il tuo immancabile passamontagna, che
anche se siamo ormai a giugno in cima potrebbe tirare aria fredda; e,
soprattutto, accanto allo zaino, i tuoi scarponi nuovi, che hai comprato giusto
qualche giorno fa e non vedi l’ora di provare.
Me ne hai parlato proprio ieri
sera, di questi scarponi.
“Alla fine ho scelto un modello
più tecnico, meno classico”, mi hai detto con una competenza impensabile per un
uomo di mare come te. Ma ormai sei diventato un montanaro anche tu; e anche se
spesso ti prendo in giro per la tua goffaggine in discesa o per come arranchi
su certi tratti ripidi, quando c’è in programma un’uscita sei tra i primi che
chiamo. Perché mi fai divertire da matti. E perché non molli mai, costi quel
che costi.
Eravamo alla Bookique, io, te,
Silvia e Lucio, ed è stata una gran serata, una delle tantissime passate
insieme, tra birre, fumate, risate a crepapelle (come quasi sempre, quando c’eri
tu) e discorsi sul nostro futuro a scuola. Siamo entrati in ruolo insieme, io, te
e Silvia, ma voi dovevate ancora discutere la tesina per il passaggio dell’anno
di prova, mentre io l’avevo fatto il giorno prima.
“E occhio, che anche se tutti dicono
che è solo una formalità non si sa mai!”, vi ho detto ridendo, mentre si
brindava. E tu hai ricambiato la risata, mostrando quei
tuoi dentoni bianchi che, scuro com’eri, sembravano d’avorio.
Poi, verso le due o giù di lì, ci
siamo salutati, certi di rivederci di lì a poco. Tu proponevi una bivaccata in
montagna, visto che il 2 giugno cadeva di lunedì e quindi si poteva
approfittarne, ma io, che pure sarei venuto molto volentieri, alla fine ti avevo
detto di no, perché preferivo fare qualcosa assieme a Evely e Martino.
“Tanto ormai la scuola sta per
finire e comincia a fare caldo, ne avremo di occasioni!”, avevo aggiunto.
Quanto mi sbagliavo. E quante volte
ho maledetto me stesso per non aver accettato la tua proposta. Non ci sono
bivacchi, sul Peller.
Nell’ultima immagine che ho di
te, stai slegando la bici fuori dalla Bookique, e io ti saluto alzando la mano
e poi mi avvio verso la macchina, barcollante ma contento. Mi si è impressa
nella mente, quell’immagine, e sono certo che ci resterà finché campo.
Da allora, non c’è stato giorno
in cui non ho pensato a te. E non lo dico per dire, parlo sul serio.
Non so contare le occasioni in
cui mi sembrava impossibile che non fossi in mezzo a noi, ma le ultime due le
ricordo bene: la prima durante lo sciopero fatto il 5 maggio scorso e
clamorosamente riuscitissimo, con insegnanti e studenti abbiamo riempito piazza
Duomo per protestare contro questa bestemmia che è “la buona scuola” e ti
saresti divertito assai; l’altra, pochi giorni dopo, alla festa di San Martino,
che tu adoravi. Mentre mi facevo strada tra la folla continuavi a venirmi in
mente, ti cercavo dappertutto, e a un certo punto, non vedendoti, ho quasi avuto
l’istinto di verificare sul cellulare se mi avessi chiamato. Pensa te che
scherzi può fare il cuore, quando prende il sopravvento sulla mente…
Finché non te ne sei andato, non mi
ero reso conto di quanto fossi affezionato a te. Certo, mi sei stato simpatico
fin dalla prima volta che ci siamo visti, neanche a farlo apposta in montagna,
un’uscita con le ciaspole sul monte Luco organizzata da Antonio, e ti ho subito
voluto bene. Ti consideravo una specie di fratello minore, io che di fratelli
non ne ho, ma non avrei mai immaginato quanto ferocemente mi saresti mancato.
Mi sono successe tante cose, in
quest’anno trascorso senza poterle condividere con te. Quasi tutte belle.
Ho pubblicato un nuovo libro di
racconti, che avrei voluto dedicarti ma poi mi sembrava un gesto troppo
sfacciato, quasi volgare, e ho deciso di no.
E, soprattutto, a febbraio è nata
Ester, che ha pelle e capelli scuri e se potessi vederla diresti di sicuro che
è proprio una vera terrona. Come te, come noi.
A marzo, invece, abbiamo piantato
un ciliegio in tuo ricordo nel cortile del Tambosi, la tua ultima scuola, e la
Preside ha anche fatto affiggere una targa col tuo nome sopra la porta dell’aula
di informatica. È venuta un sacco di gente e alcuni dei tuoi ex studenti hanno
cantato e suonato la chitarra. Avevamo tutti gli occhi lucidi, ma eravamo orgogliosi
di essere lì.
C’erano anche i tuoi genitori e
tuo fratello Alessandro con la fidanzata, e finalmente ho conosciuto tuo padre.
Avrei potuto farlo prima, nelle altre occasioni in cui è venuto a Trento da un
anno a questa parte, ma non mi sentivo pronto: mi avevano detto che ti
assomiglia in modo impressionante, ma a me non è sembrato poi così vero. La voce,
però, quella sì, è identica alla tua. E quando mi sono presentato e lui mi
detto “Ah, tu sei Geno!”, mi è sembrato di risentirla, e ho avuto un brivido.
Anche con la scuola per me è
stato un anno importante. Forse il migliore da quando faccio questo mestiere,
il più ricco di soddisfazioni. Ho insegnato al Da Vinci, dove sono stato da dio
e dove spero di poter restare, anche se sarà dura per i soliti, perversi
meccanismi di punteggi e graduatorie, che abbiamo combattuto insieme senza
riuscire a ottenere quasi niente, ma fieri comunque di averci provato. Da quando
non ci sei più tu, però, a lottare accanto a noi, per me è cambiato tutto, qualcosa
mi si è rotto dentro. All’inizio pensavo fosse una sensazione passeggera ma
poi, a poco a poco, giorno dopo giorno, ho capito che senza il tuo entusiasmo e
il tuo appoggio, senza la tua voglia di vendere cara la pelle e la tua ironia
che sapeva rendere meno amari anche i momenti più difficili, non è più la stessa
cosa. E così la tentazione di mollare si fa sempre più forte, anche se me ne
vergogno e so che dovrei tener duro, non foss’altro per rispetto nei tuoi
confronti. Spero di farcela, ma non te lo garantisco.
Domani, per ricordarti come
meriti, faremo una festa a Malga Pontara, come l’anno scorso. Ci saremo tutti, e
mentre balleremo e canteremo e ci ubriacheremo ognuno di noi, a modo suo, ti
sentirà un po’ meno lontano.
Io conto di farlo leggendo queste
righe scritte stasera. Sempre che riesca a trovare il coraggio, e sperando che il
groppo che avrò in gola non mi impedisca di arrivare in fondo.
Con infinita nostalgia
Geno