lunedì 1 giugno 2015

Un anno fa



È il 31 maggio di un anno fa, un sabato sera.
Molto probabilmente a quest’ora (sono da poco passate le dieci) stai preparando lo zaino per la tua ultima escursione in montagna. Le solite cose da infilarci dentro, che ormai trovi senza bisogno di doverle cercare: la maglietta di ricambio, il pile, la borraccia, la ventina in caso di pioggia, il tuo immancabile passamontagna, che anche se siamo ormai a giugno in cima potrebbe tirare aria fredda; e, soprattutto, accanto allo zaino, i tuoi scarponi nuovi, che hai comprato giusto qualche giorno fa e non vedi l’ora di provare.

Me ne hai parlato proprio ieri sera, di questi scarponi.

“Alla fine ho scelto un modello più tecnico, meno classico”, mi hai detto con una competenza impensabile per un uomo di mare come te. Ma ormai sei diventato un montanaro anche tu; e anche se spesso ti prendo in giro per la tua goffaggine in discesa o per come arranchi su certi tratti ripidi, quando c’è in programma un’uscita sei tra i primi che chiamo. Perché mi fai divertire da matti. E perché non molli mai, costi quel che costi.

Eravamo alla Bookique, io, te, Silvia e Lucio, ed è stata una gran serata, una delle tantissime passate insieme, tra birre, fumate, risate a crepapelle (come quasi sempre, quando c’eri tu) e discorsi sul nostro futuro a scuola. Siamo entrati in ruolo insieme, io, te e Silvia, ma voi dovevate ancora discutere la tesina per il passaggio dell’anno di prova, mentre io l’avevo fatto il giorno prima.
“E occhio, che anche se tutti dicono che è solo una formalità non si sa mai!”, vi ho detto ridendo, mentre si brindava. E tu hai ricambiato la risata, mostrando quei tuoi dentoni bianchi che, scuro com’eri, sembravano d’avorio.

Poi, verso le due o giù di lì, ci siamo salutati, certi di rivederci di lì a poco. Tu proponevi una bivaccata in montagna, visto che il 2 giugno cadeva di lunedì e quindi si poteva approfittarne, ma io, che pure sarei venuto molto volentieri, alla fine ti avevo detto di no, perché preferivo fare qualcosa assieme a Evely e Martino.
“Tanto ormai la scuola sta per finire e comincia a fare caldo, ne avremo di occasioni!”, avevo aggiunto.

Quanto mi sbagliavo. E quante volte ho maledetto me stesso per non aver accettato la tua proposta. Non ci sono bivacchi, sul Peller.

Nell’ultima immagine che ho di te, stai slegando la bici fuori dalla Bookique, e io ti saluto alzando la mano e poi mi avvio verso la macchina, barcollante ma contento. Mi si è impressa nella mente, quell’immagine, e sono certo che ci resterà finché campo.

Da allora, non c’è stato giorno in cui non ho pensato a te. E non lo dico per dire, parlo sul serio.

Non so contare le occasioni in cui mi sembrava impossibile che non fossi in mezzo a noi, ma le ultime due le ricordo bene: la prima durante lo sciopero fatto il 5 maggio scorso e clamorosamente riuscitissimo, con insegnanti e studenti abbiamo riempito piazza Duomo per protestare contro questa bestemmia che è “la buona scuola” e ti saresti divertito assai; l’altra, pochi giorni dopo, alla festa di San Martino, che tu adoravi. Mentre mi facevo strada tra la folla continuavi a venirmi in mente, ti cercavo dappertutto, e a un certo punto, non vedendoti, ho quasi avuto l’istinto di verificare sul cellulare se mi avessi chiamato. Pensa te che scherzi può fare il cuore, quando prende il sopravvento sulla mente…

Finché non te ne sei andato, non mi ero reso conto di quanto fossi affezionato a te. Certo, mi sei stato simpatico fin dalla prima volta che ci siamo visti, neanche a farlo apposta in montagna, un’uscita con le ciaspole sul monte Luco organizzata da Antonio, e ti ho subito voluto bene. Ti consideravo una specie di fratello minore, io che di fratelli non ne ho, ma non avrei mai immaginato quanto ferocemente mi saresti mancato.

Mi sono successe tante cose, in quest’anno trascorso senza poterle condividere con te. Quasi tutte belle.

Ho pubblicato un nuovo libro di racconti, che avrei voluto dedicarti ma poi mi sembrava un gesto troppo sfacciato, quasi volgare, e ho deciso di no.

E, soprattutto, a febbraio è nata Ester, che ha pelle e capelli scuri e se potessi vederla diresti di sicuro che è proprio una vera terrona. Come te, come noi.

A marzo, invece, abbiamo piantato un ciliegio in tuo ricordo nel cortile del Tambosi, la tua ultima scuola, e la Preside ha anche fatto affiggere una targa col tuo nome sopra la porta dell’aula di informatica. È venuta un sacco di gente e alcuni dei tuoi ex studenti hanno cantato e suonato la chitarra. Avevamo tutti gli occhi lucidi, ma eravamo orgogliosi di essere lì.

C’erano anche i tuoi genitori e tuo fratello Alessandro con la fidanzata, e finalmente ho conosciuto tuo padre. Avrei potuto farlo prima, nelle altre occasioni in cui è venuto a Trento da un anno a questa parte, ma non mi sentivo pronto: mi avevano detto che ti assomiglia in modo impressionante, ma a me non è sembrato poi così vero. La voce, però, quella sì, è identica alla tua. E quando mi sono presentato e lui mi detto “Ah, tu sei Geno!”, mi è sembrato di risentirla, e ho avuto un brivido.

Anche con la scuola per me è stato un anno importante. Forse il migliore da quando faccio questo mestiere, il più ricco di soddisfazioni. Ho insegnato al Da Vinci, dove sono stato da dio e dove spero di poter restare, anche se sarà dura per i soliti, perversi meccanismi di punteggi e graduatorie, che abbiamo combattuto insieme senza riuscire a ottenere quasi niente, ma fieri comunque di averci provato. Da quando non ci sei più tu, però, a lottare accanto a noi, per me è cambiato tutto, qualcosa mi si è rotto dentro. All’inizio pensavo fosse una sensazione passeggera ma poi, a poco a poco, giorno dopo giorno, ho capito che senza il tuo entusiasmo e il tuo appoggio, senza la tua voglia di vendere cara la pelle e la tua ironia che sapeva rendere meno amari anche i momenti più difficili, non è più la stessa cosa. E così la tentazione di mollare si fa sempre più forte, anche se me ne vergogno e so che dovrei tener duro, non foss’altro per rispetto nei tuoi confronti. Spero di farcela, ma non te lo garantisco.

Domani, per ricordarti come meriti, faremo una festa a Malga Pontara, come l’anno scorso. Ci saremo tutti, e mentre balleremo e canteremo e ci ubriacheremo ognuno di noi, a modo suo, ti sentirà un po’ meno lontano.

Io conto di farlo leggendo queste righe scritte stasera. Sempre che riesca a trovare il coraggio, e sperando che il groppo che avrò in gola non mi impedisca di arrivare in fondo.

Con infinita nostalgia


Geno

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