L'Adige, 29 marzo 2010
«La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta». Questa frase di T.W. Adorno pare fatta su misura per descrivere la situazione in cui si trovano i docenti di tutte le scuole superiori della provincia di Trento, chiamati a decidere sull'ormai nota questione delle durata delle lezioni a partire dal prossimo anno scolastico. In base alla recente Delibera della Giunta Provinciale n. 533, infatti, i collegi docenti dovranno votare scegliendo tra due opzioni: accogliere la «proposta innovativa» dell'Assessore Dalmaso, basata su lezioni da 50 minuti, oppure adeguarsi al modello Gelmini, costruito su lezioni da 60 minuti.
L'opzione trentina, se da un lato renderebbe possibile («a parità di tempo scuola totale annuo») un numero maggiore di unità orarie settimanali, e quindi l'ampliamento dell'offerta formativa e la maggior articolazione del quadro orario, dall'altro pone il problema, per gli insegnanti, del recupero dei 10 minuti che differenziano l'unità oraria dal tempo di lavoro stabilito dal contratto di lavoro. Recupero che ammonta, tutto compreso, a circa 110 ore annue e che le trattative sindacali hanno ridotto a 70. L'opzione nazionale, invece, se da un lato elimina il sentito problema del recupero, dall'altro costringe a impoverire l'offerta formativa e soprattutto, diminuendo la necessità di organico, produce una perdita immediata di posti di lavoro stimata dall'Assessore intomo alle 200 unità (pari a circa la metà dei docenti precari attualmente impiegati in Provincia).
Ma è davvero questo è il problema: 50 o 60? O non è invece proprio l'averci messo di fronte a una ««scelta prescritta» a nascondere l'inganno? Entrambe le opzioni, infatti, se lette con attenzione, si rivelano truccate. Votare per le lezioni da 60 minuti da un lato ci consentirebbe di sottrarci all'ipocrisia del recupero orario e di dire «no» al ricatto della Giunta, ma dall'altro legittimerebbe quel ricatto, scaricando su di noi la gravissima responsabilità di «eliminare» i 200 colleghi precari. Viceversa, decidere per le lezioni da 50 minuti, nel nome di una «solidarietà di classe» e nella speranza (illusoria) di in un buon utilizzo dei recuperi orari per costruire una scuola migliore, non garantirebbe in alcun modo il mantenimento dei posti di lavoro, e anzi probabilmente costituirebbe solo un primo passo verso il potenziamento delle cattedre da 18 a 20 ore settimanali, con evidenti ricadute sulla quantificazione degli organici.
A rafforzare la fondatezza delle nostre ipotesi contribuisce un semplice confronto tra i quadri orari nazionali e quelli trentini. Rifacendo bene i conti dei minuti, infatti, si scopre un'amara verità: l'opzione trentina non mantiene affatto un tempo scuola totale pari a quello nazionale, come più volte dichiarato dall'Assessore, perché, convertendo le ore Gelmini di 60 minuti in unità orarie Dalmaso di 50 minuti, risulta una drastica riduzione del monte ore trentino rispetto a quello nazionale. Nelle classi del triennio del liceo classico, per fare qualche esempio, 31 ore di 60 minuti (Gelmini) dovrebbero equivalere a 37,10 ore da 50 minuti, invece Dalmaso ne prevede 33: ogni settimana «spariscono» in questo modo 4,10 unità orarie da 50 minuti, così come ne spariscono 4 nelle classi dei trienni di scientifico, linguistico e delle scienze umane. Negli istituti tecnici, le parole dell'Assessore provano maldestramente a nascondere un taglio di 4,20 ore nelle classi del biennio e altre 2,20 ore per ogni classe del triennio.
L'alternativa posta ai docenti è dunque solo fittizia: in realtà le due ipotesi finiscono per coincidere proprio nel fine meramente finanziario di entrambe, imperniato sul risparmio di risorse attraverso la riduzione del personale.
Una terza possibilità dei docenti, l'astensione dalla decisione, pare formalmente impercorribile: la delibera è infatti blindata, poiché stabilisce che all'Istituzione scolastica che non esprimesse nessuna volontà (entro il 20 aprile) si applicherebbe, secondo la formula del silenzio-assenso, la «proposta innovativa» dei 50 minuti.
Nessuna via d'uscita, dunque? Niente affatto. Se soltanto lo vorranno, i docenti avranno la possibilità di «sottrarsi a questa scelta prescritta»: denunciando esplicitamente il disegno macchinato dalla Giunta e rifiutando a priori, con una atto di «disobbedienza civile», di sottostare a questo ricatto. Noi li invitiamo a compiere quest'atto, a non svendersi come braccianti a condizioni miserabili, e a battersi affinchè la ricca Provincia Autonoma di Trento investa nell'istruzione pubblica, anziché destinare sempre più risorse a quella privata (i cui finanziamenti, è bene ricordarlo, saranno aumentati per il prossimo anno scolastico del 15 per cento). Un maggiore investimento economico garantirebbe infatti, al contempo, lezioni da 60 minuti - liberando i docenti dall'accusa di voler lavorare meno di quanto stabilito per contratto - e mantenimento degli attuali organici - evitando il sacrificio dei colleghi precari. A quel punto, toccherà alla Provincia scegliere, e in questo caso tra due alternative autentiche: la disponibilità a spendere di più per avere una scuola pubblica d'eccellenza, come ha sempre dichiarato di voler fare; o l'intenzione di risparmiare quattrini, che si mostrerà in tutta la sua evidenza. Nel primo caso, Dellai e Dalmaso potranno davvero vantarsi di essere altra cosa da Tremonti e Gelmini; nel secondo, non ci vengano più a raccontare panzane: saranno tali e quali, artefici di una brutale imposizione nel nome del risparmio sull'istruzione pubblica.
Alessandro Genovese e Nicola Zuin
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