L’estate sta finendo, canterebbero quei due di una canzonetta che i vituperati precari storici hanno l’età per ricordare. Io l’ho trascorsa in vigilanza silenziosa e ora mi pare che sia arrivato il momento di ribadire con voce forte e chiara alcune posizioni. L’ennesimo articolo a metà tra il vacuo e l’offensivo che ho letto questa mattina è stata solo una modesta miccia di innesco.
Per chiarezza inizio specificando che non sono più precaria da diversi anni, ma sono profondamente indignata per l’arroganza e la mancanza di rispetto con cui vengono trattati i miei colleghi che ancora lo sono, oltre che per il grave pressapochismo con il quale si sta facendo a pezzi l’Istituzione nella quale lavoro con impegno e convinzione da vent’anni. Parlare di scuola a prescindere dalla componente docente è assurdo e grottesco come lo sarebbe magnificare automobili senza motore né ruote. Insegnanti e alunni sono davvero gli unici ingredienti dei quali il sistema scuola non potrà in nessun caso fare a meno, pena l’annullamento del concetto stesso di scuola.
I docenti che attualmente insegnano come precari sono circa il 20% dell’organico complessivo impiegato e, dunque, sono necessari al sistema scolastico provinciale. Senza di loro le scuole trentine (ma vale anche per il resto d’Italia, naturalmente) non sarebbero assolutamente in grado di funzionare normalmente. Questo solo per chiarire che l’ Istituzione non concede loro improbabili favori, facendoli lavorare. Detto ciò, mi riesce inevitabile notare come l’accorato discorsetto riminese del ministro Fornero su come i datori di lavoro debbano avere a cuore il “capitale umano” di cui dispongono e con il quale operano, non trovi il minimo riscontro in una delle Istituzioni dello Stato che da ogni parte si fa a gara a definire come strategica e fondamentale: la scuola. Gli insegnanti, generalmente considerati accidiosi, un po’ supponenti e comunque privilegiati, vedono ulteriormente diminuire la considerazione (!) di cui godono se sono precari.
Invece andrebbe ribadito che tutti quelli che sono inseriti nelle discusse graduatorie a esaurimento hanno ovviamente i titoli di studio necessari per l’accesso alla professione; hanno conseguito l’abilitazione all’insegnamento vincendo concorsi (beffardamente definiti “a cattedre”) banditi dallo Stato Italiano; in molti casi hanno anche all’attivo specifici corsi di specializzazione post laurea di durata biennale (con frequenze obbligatorie, esami nelle varie discipline ed esame di stato finale, oltre a svariati tirocini sul campo); hanno molti anni di esperienza diretta di insegnamento; hanno pure un consistente e costante bagaglio di aggiornamento professionale all’attivo, data la natura altalenante e mutevole dei loro incarichi che li porta a lavorare di volta in volta in realtà differenti. Infine, hanno certo una buona dose di autentica motivazione personale, altrimenti non si vede come potrebbero continuare a insegnare nonostante tutto quello a cui sono costantemente sottoposti.
Se si considerano anche solo sommariamente questi pochi ma sostanziali elementi, è chiaro come l’intero discorso imbastito dal nostro assessore Dalmaso e dal nostro ministro Profumo risulti inaccettabile essenzialmente per due ordini di ragioni: il primo afferente al rispetto per le persone e il secondo agli obbiettivi da perseguire. Nessun’altra istituzione, organizzazione, ditta o società, sia pubblica che privata, si permette di trattare così i suoi dipendenti perché non ne avrebbe nessuna convenienza (che senso potrebbe mai avere eliminare personale specializzato ed efficiente per rimpiazzarlo con altro ancora del tutto da formare?). Quanto al disegno complessivo e agli obbiettivi che si prefigge, è facile immaginare come non possano essere nulla di lusinghiero. Una scuola che miri a valorizzare i punti di forza e a ovviare ai punti di debolezza non comincerà certo a muoversi eliminando professionisti attivi, motivati e competenti.
La stessa logica che oggi falcia senza pudore i colleghi precari è quella che guida il tentativo sempre più evidente di appiattire la realtà articolata e ricca del sistema scuola in una serie di check-list e luoghi comuni che rendano standardizzate e intercambiabili realtà che per loro natura non lo sono affatto. Mi viene in mente Einstein che, a proposito di formazione e istruzione, parlava della centralità dell’immaginazione e dei risultati inevitabilmente deludenti se ci si ostina a voler valutare minuziosamente i pesci per le loro “competenze” nello scalare gli alberi…
Insomma, scrivo queste righe perché ritengo davvero cruciale per la scuola nel suo complesso il momento che stiamo vivendo. L’obbiettivo del sedersi al tavolo della trattativa sindacale sarà forse troppo ambizioso per quest’autunno, ma è comunque necessario prendere posizione esplicita e riflessiva. Quindi coraggio. A giorni ci saranno le prime riunioni e ci sarà modo per cercare di fare partecipi quanti più colleghi possibile, anche se è facile immaginare che possano essere piuttosto recalcitranti e distratti.
La posta in gioco è alta e riguarda la scuola nel suo complesso. In questo quadro la vertenza (peraltro sacrosanta!) dei precari è soltanto uno degli elementi significativi, anche se al momento è quello con più visibilità e anche quello più strumentalizzato dagli slogan di regime. Per noi può essere un punto concreto da cui partire per esprimere chiaramente il nostro dissenso costruttivo e le nostre proposte alternative
L’ormai diffuso culto del Mercato, fatto di abbondanti sacrifici umani sugli altari dedicati allo spread e di reiterate penitenze praticate con ostinazione davanti ai sacerdoti del rating nella speranza di un vaticinio comprensibile, ha avvolto nelle sue spire anche la Scuola e la sta massacrando con colpi secchi e ben assestati, però sapientemente camuffati da una campagna mediatica che li presenta come desiderabili, adeguati e moderni interventi di lifting.
Precari e non affiancati per un’unica Scuola. Quella che da anni costruiamo insieme tutti i giorni nelle aule. Quella che ha al centro le persone. Quella che guarda al futuro. Quella che vola alto in modo ambizioso, ma non velleitario. Può bastare?
Bisogna esserci ed esserci in tanti per far sentire la voce vera della Scuola, quella impegnata, qualificata e sicura delle mete sostanziali e sostanziose che si prefigge.
Ho scritto queste righe per fare il punto nella mia testa in previsione delle discussioni dei prossimi giorni con i colleghi. Ho tralasciato i mille riferimenti possibili alle raccapriccianti situazioni specifiche per cercare di fare spazio alle tensioni ideali; perché credo che dalla condivisione delle questioni di fondo si possa partire per sbrogliare la matassa delle contingenze. Non so se queste riflessioni possano servire a qualcuno di voi. Fatene l’uso che vi sembra più sensato.
Allego per chi ne avesse voglia un piccolo saggio che poco più di dieci anni fa (nel 2000) Lucio Magri scriveva sulla scuola. E’ una analisi fine e precisa, ancora di schiacciante attualità. (clicca qui)
Vado a cucinare i fagioli e il riso per pranzo. Un sorriso a tutti.
Patrizia Imperio
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