mercoledì 17 novembre 2010

La lezione delle maestre

Ci sono momenti in cui bisogna avere il coraggio di fare un bagno di umiltà e ammettere che abbiamo ancora tanto da imparare. Questo è uno di quei momenti: a farcelo capire in modo luminoso sono state le maestre delle scuole materne, capaci, nei giorni scorsi, di scendere in piazza con compattezza e determinazione per gridare la loro rabbia contro i tagli ai posti di lavoro decisi da un governo provinciale sempre più miope e ottuso.
L'unità dimostrata dalle maestre ha messo in subbuglio il Palazzo, ha stanato l'assessore Dalmaso dal letargo a cui già si stava preparando, ha costretto i sindacati a far la voce grossa, ha facilmente suscitato il consenso dell'opinione pubblica... di fatto ha aperto lo spazio di una trattativa.
E noi? cosa facciamo noi insegnanti delle scuole superiori? investiti, nostro malgrado, da quell'"iniziativa innovativa" contro cui, a più riprese, abbiamo provato a opporci: lettere sui giornali, assemblee, riunioni, appelli, raccolte di firme... ma che cosa abbiamo ottenuto in un anno di mobilitazione? Quale idea della nostra categoria abbiamo legittimato agli occhi delle famiglie e degli studenti?
L'"iniziativa innovativa" marcia a pieno ritmo: questa è la sola, incontestabile, amara verità. Un esito che, forse, non era così scontato, se avessimo dimostrato anche soltanto un decimo della compattezza e dell'unità mostrate dalle maestre. Quel che abbiamo mostrato, invece, è la nostra incapacità di essere uniti nella rivendicazione dei più elementari diritti, la nostra cronica tendenza a dividerci al grido di "si salvi chi può", la nostra pigrizia, la nostra disinformazione, la nostra tendenza all'autoreferenzialità... la nostra disponibilità a farci calpestare, ignorare, escludere, in cambio di comodi e vergognosi compromessi individuali...
Un esempio lampante della nostra debolezza è l'iniziativa di "boicottaggio" delle gite: un'ottima idea, sulla carta, che però non siamo riusciti a spiegare nel suo autentico significato e a divulgare in modo capillare nemmeno tra i colleghi e che, a conti fatti, ha finito per ritorcersi contro di noi. "Già lavorano poco, adesso neanche più in gita, pagati e rimborsati, hanno voglia di andare!": questa, alla fine, è l'idea che buona parte della gente si è fatta di noi e della forma di protesta che abbiamo ideato. E la colpa, spiace doverlo ammettere, è soltanto nostra: ancora una volta, ci siamo rivelati incapaci di marciare tutti insieme nella stessa direzione, di lottare per la stessa causa, cadendo nella trappola di quell'antico, ma sempre attuale, "Divide et impera".
Ancora una volta, ci siamo scoperti inconcludenti, poco concreti, sempre pronti a delegare.  Invisibili.

Tuttavia, forse non tutto è (ancora) perduto. Da qui a febbraio si gioca il futuro della nostra scuola, del nostro lavoro, della nostra dignità. Il tempo c'è. E non siamo soli: gli studenti, l'università, il mondo della ricerca, i movimenti... tutte realtà che oggi, 17 novembre 2010, hanno deciso di marciare insieme per provare a cambiare se non il mondo, almeno il modo di starci. Per provare a dire NO alla mercificazione della cultura e alla precarizzazione di chi dovrebbe essere messo nelle migliori condizioni per poterla diffondere.
Da che parte vogliamo stare? Vogliamo essere della partita? Allora, per una volta, non sprechiamo quest'ultima occasione: uniamo le nostre forze, facciamo sentire che esistiamo... impariamo dalle maestre!

1 commento:

Anonimo ha detto...

viviamo in tempi di individualismo liquido, purtroppo...
Intanto, inquietante il taglio dello stipendio estivo dei precari ...